" Non basta tirare una corda " ®

I modi di suonare i bronzi sacri non sono uguali. Anche quando si parla del suono delle campane si danno per scontate troppe cose, ed i più credono sia sufficiente far oscillare vagamente e di poco il vaso bronzeo per ottenere il risultato sonoro dalle potenzialità quasi devastanti. Ben pochi porterebbero ad esempio, per iniziare a citare una tecnica “da intenditori”, il piano e il forte che promisquamente si potrebbero succedere in un brano eseguito al carillon. Se ci si facesse caso si noterebbe come in Italia, spaziando da regione a regione, il suono delle campane cambia perché cambia la tecnica di suono. Nemmeno una minima parte di queste sfumature è tralasciata dai suonatori di campane, i quali con la loro maestria continuano a dare vita a diverse tecniche di suono che ancor oggi sanno far valere e apprezzare.

Questa non consiste in una cadenza o nell’uso di uno stile di esecuzione piuttosto di un altro, bensì nel suono totalmente differenziato a seconda dell’ armatura o inceppatura di cui è dotata la campana, dalla consistenza di contrappesi che si applicano al ceppo di sospensione , nella differente altezza o posizione che raggiunge nello slanciarsi, nell’applicazione di diversi tipi di procedimenti per farla muovere, con un rintocco più lento, o veloce, o cadenzato...

Se la campana quindi suona sempre allo stesso modo, essendo percossa da un agente interno o esterno, il differente modo di muovere la campana ne caratterizza questo suono.

Nel mondo le tecniche di suono sono innumerevoli: una buona percentuale si può trovare in Italia, dove, a differenza degli altri paesi che presentano non più di tre tecniche (distesa, concerto, carillon) il suono assume tradizioni accentuate che si possono esprimere con suoni diversi da regione a regione, costituendo tutto un insieme di “dialetti” inconfondibili e peculiari da zona a zona.

Tutte le tecniche esistenti possono usare un tipo di armatura che può rientrare in tre particolari modi di impiego delle campane:

1. Campana a sistema sbilanciato

2. Campana a sistema bilanciato

3. Campana fissa




1.  Campana sbilanciata

Il corpo bronzeo viene sospeso tramite un ceppo non contrappesato anche in legno, ed attaccato, con perni di rotazione o cuscinetti, all’incastellatura all’altezza della corona (la maniglia forata che si usa per sospendere una campana e posta alla sommità di essa), di modo che non ci sia nessun tipo di sbilanciamento. È il sistema più diffuso nell’Italia centrale e meridionale.

Lo Slancio — E’ decisamente la tecnica più semplice ed evoluta. Il sistema più antico è quello a “staffa” (o aspa), che prende nome dall’asta attaccata al ceppo di sospensione, che collega la corda al punto di suono. È la tecnica più arrangiata e rudimentale dopo l’impiego delle campane fisse. In luogo della asta troviamo per lo più oggi una ruota di relativa grandezza la cui circonferenza è calandrata a U per creare un binario nel quale trova facile alloggio lo scorre la corda o la catena del motore. Questa tecnica usata fino ai 90° circa di inclinazione si può chiamare anche a “battaglio volante”, in quanto questo va a colpire il bordo superiore della campana distesa. Questo tipo di suono è il più diffuso: in tutto il centro Italia e nel meridione si può facilmente trovare inalterato. Nel Trentino, nell’Alto Adige, come nel Veneto anche. Nel bolognese e modenese vi è sempre anche se con un impiego del tutto peculiare. In altre regioni come il Friuli e nel sistema Ingelse, può avere qualche altra accortezza nell’armatura. Il suono che si può ottenere è generalmente identificabile con il famoso termine “campane a festa”, continuativo, “alla rinfusa” -qualcuno preferisce il termine “a stormo”, proprio perché come un gruppo di volatili che si libra nel cielo le campane susseguono continuamente il loro movimento-senza un ordine anche se, con ingranaggi o manualmente, si può eseguire la suonata dando una preordinata sequenza di rintocchi, cadenziati, ritmati… come avviene nel Bolognese o nel Lucchese. La campana a slancio non necessita di particolari esercizi, o lezioni, per essere suonata, anche se non mancano le accortezze: il suonatore deve saper seguire il corso della campana, tirare la corda nel momento piu ottimale e, per quanto possibile, frenando leggermente alla fine della traiettoria, poco prima del suo cambio di direzione. A seconda dell’armatura e dei battagli e della dimensione delle campane o troppo piccole o troppo grandi, può risultare molto difficoltoso tirare. A seconda del punto di suono (o cella campanaria, o al di sotto di essa) sarà necessario far debitamente scorrere la corda, senza ostinarsi a tenerla stretta nel solito punto.

L’oscillazione della campana in questa tecnica può raggiungere dai 45° ai 130° con la posizione quasi a bicchiere (ovvero con la bocca verso l’alto). Più una campana oscillante batte bassa più i battiti saranno veloci, al contrario più una campana batterà alta più i rintocchi saranno lenti. Una campana “a bicchiere” (o in piedi), di qualsiasi tecnica si parli, produce un unico tocco nell’ambito di 360°: un giro, un solo tocco. Così facendo ruotare note diverse in successione diversa si creerà qualunque melodia desiderata. Dopo i 100° gradi potremmo dire che si tratta quasi di “campana a bicchiere”.

Lucchese – Si esegue con un minimo di due e con un massimo di quattro campane. La suonata è generalmente chiamata “doppio”. Parte sempre la campana minore a slancio. Ad essa si accodano man mano le altre solo quando le precedenti minori sono arrivate alla debita altezza di oscillazione, valendo sempre il principio che più una campana è piccola più deve arrivare alta per adeguarsi all’oscillazione di quella grande. Per tutta la durata della suonata si avrà la stessa successione delle note senza mai accavallare un rintocco con un altro. All’inizio e alla fine della suonata la successione sarà più veloce, essendo più basso il punto di battuta delle campane. Al contrario nella parte centrale del doppio i rintocchi risulteranno più lenti e solenni non eslculdendo che le campane minori debbano essere debitamente tranttenute nella posizione a bicchiere se si vuole mandare molto alte quelle grandi.

Bolognese - modenese — Deriva dal sistema a staffa deriva uno dei più nobili sistemi di suono esistenti nel nostro paese. Il sistema bolognese/modenese è il modo di suonare le campane più complesso che si possa trovare al mondo. A Modena si hanno notizie di suono regolare soltanto verso la fine del XVIII sec., da quando cioè, i Padri Minimi del la chiesa di San Barnaba provvidero a far fondere un concerto a 4 voci datato 1784 per opera di Ruffini d Reggio Emilia. Per azionare il bronzo ci si serve d una staffa a “cappio” la quale non è altro che il lato di un triangolo isoscele che ha il suo vertice nel ceppo di sospensione e agli altri due angoli si trova l’attacco della fune. Si suona per squadre e l’esecutore è a contatto diretto con lo strumento. La corda non è calata a metà o alla base del campanile, ma si suona dinanzi alla campana. Ogni suonatore pilota una sola campana, ma ove esse sono di eccessiva grandezza è necessario aggiungerne altri. I concerti vanno da un minimo di 4 (Do, Re, Mi, Sol) ad un massimo di 6 campane (da Do a La). La più diffusa esecuzione di questo stile è il “doppio”. Si mettono prima le campane in “segno”: con un braccio il campanaro manovra la corda che agisce sul cappio e con l’altro manovra il battaglio per far sì che non tocchi le pareti della campana che oscilla senza suonare. Si procede così di modo che tutte ogni campanaoscilli in unica direzione dando già dal primo rintocco al momento giusto, dando nell’insieme delle campane una sequenza in perfetto sincronismo tenendo anche conto che quelle di peso maggiore vanno più lente di quelle di peso minore. Ad un richiamo vocale si fanno suonare mantenendo sempre la stessa sequenza di tocchi, in una successione fissa e ben cadenzata detta ‘”scappata”, perché tutte le campane raggiungono gradualmente sempre scandendo lo stesso motivo, i 180°. Detta posizione della campana con la bocca rivolta verso l’alto si chiama “a bicchiere” o “in piedi”. A questo punto vengono eseguite successioni di melodie imparate a memoria da ogni campanaro e tramandate di squadra in squadra. Il brano prende il nome di “doppio”. Seguendo mentalmente un algoritmo, o insieme di combinazioni numeriche (per ordine di grandezza in cui il numero minore corrisponde alla piccola, e il maggiore alla più grande) che assumono anche una terminologia ben precisa (ad esempio “in organo” per la successione delle campane dalla piu piccola alla piu grande: 4-3-2-1; oppure “in quarto”: 4-2-3-1; ecc…). Nel sistema bolognese/modenese non c’è nessun fermo che blocca, o fermi le campane a bicchiere: quindi è operazione che richiede molto impegno anche se il suonatore ha come ausilio un appoggio alla spalla sinistra, detto appunto “spalla”, consistente in una stanga di legno fissata alla struttura portante delle campane. Se il suonatore durante il muovere dei bronzi nella posizione a bicchiere starà attaccato con la spalla a questa, non ci sarà nessun pericolo in un incidentale coinvolgimento di colluttazione e, in modo lieve, questo mettere la spalla sotto questa misura di sicurezza previene il ribaltamento della campana e dà una sorta di parametro per l’equilibrio e le applicazioni delle spinte per riportare ogni volta la campana a 180°, cosa di basilare importanza. Le difficoltà au¬mentano con l’aumentare del peso dei bronzi. Quando essi sono di eccessiva grandezza ci si avvale dell’aiuto dei “cappietti” che imprimono alla campana la spinta per la sua corsa a mezzo di un’altra fune attaccata al lato opposto del triangolo e così i suonatori diventano due. Oltre a questi si trovano anche i “travaroli” e i “calciatori” che si trovano in piedi sull’intelaiatura superiore all’incastellatura: i primi aiutano a mantenere in piedi la campana ed i secondi, appoggiandosi ad una corda di sicurezza, imprimono tramite il piede una forza sul ceppo della campana, che si risolve in maggiore spinta di rotazione. Da questa semplice descrizione non si può capire quale suggestivo spettacolo offrano i suonatori nell’esecuzione di un doppio ad esempio nella cattedrale di San Pietro in Bologna o nella vicina basilica di San Petronio, ove per 4 campane (di quasi 50 quintali complessivamente) sono impegnati da un minimo di dodici a un massimo di venti o più campanari che lavorano tutti in sincronica perfezione. Che ci si trovi in torri storiche con giganteschi bronzi, oppure in un comunissimo campanile di campagna, quello che prevale è il gioco di squadra: Chi si avvicina ad osservare queste realtà, ne coglierà l'abilità e la sinergia di movimento che lasciano un margine di sbaglio molto, ma molto più stretto di qualsiasi altra prova agonistica. Se questi precedenti sembrano complicati, non ci si può immaginare quanto lo sia l’esecuzione delle “tirate basse”. Qui le campane vengono fatte oscillare sul procedimento dello slancio e tramite il movimento simultaneo del battaglio da parte dei suonatori, si ottengono melodie velocissime di spettacolare eccezionalità, in cui mai nessun rintocco si sovrappone ad un altro. Tale repertorio, pezzo forte” del sistema, è anche il più caratteristico ed apprezzato.

Il Friulano – Come si può facilmente capire è legato alla regione più a nord-est dell’Italia. È un sistema a slancio che equiparando l’altezza di sospensione delle campane, e la lunghezza dei battagli è atto a produrre più facilmente un suono sincronizzato di tre campane in scala. Per meglio capire: ogni concerto di campane consta che ogni singola campana sospesa vada a finire con la bocca a quote differenti dalle altre, se per caso avessimo tre campane sospese coni perni di rotazione ad uno stesso livello, risulterà che la campana grande finirà a minor distanza dal pavimento della cella campanaria, rispetto alla campana media che finirà un poco di più, o la campana piccola che finirà ancora di più a distanza… nel friulano invece, apponendo una guaina che fa da “prolunga” alla campana tra la corona e il ceppo, le campane finiscono tutte allo stesso livello, così prendendo la loro corsa dovrebbero mantenere più facilmente sempre e solo lo stesso susseguirsi cadenziato dei rintocchi: “3-2-1-3-2-1-3-2-1”




2. Campana contrappesata

Il ceppo che sormonta lo strumento è pesante e alla sommità ha dei contrappesi di pesantezza diversa, a seconda della velocità di movimento che essa deve mantenere nella sua corsa o della sua grandezza in concerto.

Il perno di aggancio ai cuscinetti di rotazione risulta inferiore alla corona cosicché parte della campana stessa funge da ulteriore contrappeso. La corda che collega la campana al punto di suono può avvenire tramite la staffa o solitamente scorrere su una notevole “ruota” in acciaio o legno saldata al lato del ceppo di sospensione. È il sistema più diffuso nell’Italia settentrionale.

Le due tecniche principali sono l’Ambrosiano e il Veronese possono rendere il suono a “distesa” in cui le campane si muovono fino a 90° circa e “a bicchiere” (o concerto). Nell’esecuzione dei concerti ogni suonatore pilota una sola campana, ma ove esse sono di eccessiva grandezza è necessario aggiungerne altri. (Pensiamo qui alla campana maggiore del duomo di Verona, il cui peso senza armature varie raggiunge e supera i 4500 kg. e richiede la forza di dieci braccia per essere messa in piedi).

Ambrosiano — Il suo impiego parte dalla Romagna alla Liguria fino ad abbracciare il Piemonte e la Lombardia; si possono trovare concerti anche in Val d’Aosta e Trentino, ma in queste regioni è particolarmente diffuso lo slancio. Procede con contrappesi che vincolano la campana ad un movimento molto lento. Alla ruota è attaccato un gancio che va a toccare una specie di molla (o freno) la quale blocca la campana in una parte dei 360° di rotazione; quindi il bronzo, compiuta una rotazione completa, è costretto a tornare subito indietro al punto di partenza facendone una seconda, che lo porterà a bloccarsi: una sorta di andata e ritorno. Di conseguenza si avranno due rintocchi in successione. I concerti sono composti in scale e combinazioni conosciute a memoria o suggerite dal capogruppo.

Veronese — Prende il nome dalla città in cui è stato brevettato, presso la chiesa di San Giorgio in Braida, nel 1776. Più volte presentato nei congressi di musica sacra o sottoposto a parere di esperti risulta essere ancora oggi il sistema di suono che traduce meglio l’esigenza della Liturgia. Grazie ad esso si possono eseguire tutte le melodie desiderate anche se si tratta di campane ruotanti. Il corpo bronzeo raggiunge la posizione a bicchiere senza nessuna misura o fermo e oltretutto i suonatori sono disposti a cerchio come le campane, alla base dei cam-panili, senza poter vedere la posizione assunta dal proprio strumento. La capiscono, però, dalla lunghezza della corda su cui bisogna esercitare abilità estrema, consistente nel dare alla campana il ritmo di esecuzione e la giusta velocità in modo che non ritorni indietro, come far sì che non superi il punto di equilibrio che la farebbe rovesciare dalla parte opposta. Anche qui come per il bolognese si deve tener conto che le campane piccole impiegano minor tempo di rotazio¬ne rispetto alle grandi: se non si curerà questo aspetto i meravigliosi accordi di quattro o cinque campane insieme, di cui le esecuzioni sono ricolme non daranno l’effetto di alla polifonia che ci si aspetta.

In questi due sistemi il maestro dirige l’esecuzione richiamando ogni suonatore secondo il numero della campana che pilota (le campane sono numerate in ordine discendente).

Per l’ambrosiano avviene una pausa tra una scala ed un’altra di modo che prima si richiama e poi si esegue; per il veronese invece, le cose sono più difficili. Dato che i pezzi sono svariati e lunghi, il maestro dirige in contemporanea alla suonata. Ad ogni campana, nota musicale, può essere attribuita anche una frazione o l’unione di più frazioni perché venga ad effettuarsi l’accordo. Il repertorio è formato dalla parte tradizionale che si rifà al canto gregoriano e liturgico (Regina coeli, Christus vincit, Tu scendi dalle stelle...) e quella di com¬posizione per le campane.

Riguardo a quest’ultima le cose da dire sarebbero tantissime, ma basta considerare alcuni famosi musicisti come il vicentino mons. Ernesto Dalla Libera o il veronese mons. Giuseppe Maggio (1866-1930), ambedue compositori di musica sacra; Germano Alberti (1888-1977) compositore delle “Sei suonate a nove campane”; Mario Carregari (1911), Luigi Accordini (1913-1991) ed il grande ispi¬ratore e maestro “venerato” da tutti i suonatori di questa tecnica di suono: Pietro Sancassani, che per più di settantacinque anni ha lavorato per incrementare l’opera dei suonatori veneti.

Oggi i compositori non mancano: ve ne sono di giovanissimi che per il loro talento sono arrivati a dirigere società e squadre di grande prestigio, come la "Scuola campanaria Verona" diretta dal presidente onorario dei campanologi italiani Matteo Padovani, o come il giovane musicista Andrea Consolaro che, come vicepresidente dell’Associazione suonatori di campane a sistema Veronese, ha recentemente diretto l’incisone di una musicassetta contenente pezzi come “Dolce sentire” e “Tantum ergo” e molte famose composizioni in uso.

Durante i concerti di campane il maestro usa i numeri disposti su un tabellone, che leggerà ad alta voce, anche se i compositori si riservano di stendere la melodia su normale pentagramma che poi sarà decifrato in numeri.



3. Campana ferma

La campana è sospesa a una incastellatura fissa o in posizione di posa (facendo in modo che non si muova). L’unico ad agire è il solo movimento del battaglio interno o del martello esterno.

Carillon — La più diffusa tecnica a campane ferme nel mondo è il “carrillon” o “organo di campane”. Qui i battagli vengono collegati per mezzo di un cordino d’acciaio, tra molle e un raccordo spesso assai complesso di passanti, con la ta¬stiera, che si trova generalmente a metà campanile. I tasti sono molto grandi e non si suona a modo di pianoforte con le sole dita, bensì si deve far forza su di essi a pugni chiusi, tenendo conto dell’intensità richiesta dai vari periodi musicali e della pesantezza dei battagli delle campane più grandi. La tastiera è costituita da due manuali più pedaliera (come un vero e proprio organo).

Secondo un accordo stilato dall’associazione ufficiale di carrillonisti, non si può definire carillon un concerto inferiore a 22 campane. Questo metodo è patrimonio della Francia, dell’Olanda e del Belgio, si è diffuso a macchia d’olio anche nelle Americhe, paesi tutti nei quali vi è maggior estensione dei concerti (che arrivano anche a sessanta e più voci, in alcuni campanili esistono per sino due concerti e magari anche un impianto elettronico di simulazione per le esercitazioni).

Il repertorio è vastissimo e molti maestri, esecutori e compositori si sono dilettati con questo strumento. Alcuni compositori sono passati già alla storia. Esiste un’universale serie di preludi, fughe, minuetti... per carillon scritti su pentagramma in chiave di basso e di violino, che come tutta la buona musica richiede solide basi di studio e solfeggio. In alcuni casi le torri campanarie da cui si diffondono i carillon sono annesse a università, palazzi civici e storici, e per potervi suonare a pieno titolo può essere anche necessario superare un concorso a cattedra.

Tastiera — In Italia è accompagnato per lo più ai sistemi all’ambrosiana; La tastiera con cui si agisce sulle campane è sempre vi sono squadre di suonatori soprattutto in Liguria e presso Bergamo, anche se Da noi, invece, i suonatori eseguono prevalentemente pezzi a memoria costituiti da arie sacre e profane (come Mira il tuo popolo, Finché la barca va, Il Piave mormorava...), comunque certi si servono anche dei numeri trascritti su tabella.

Scampanio — I battagli delle campane, ben ferme e bloccate, vengono avvicinati alla parete interna del vaso bronzeo ad un massimo di 8-9 cm tramite un cordino o una catenella fissata ad un punto fermo della muratura del campanile o ad una parte dell’incastellatura. Al centro di questa si attacca un altro cordino che, tirato, accorcerà la distanza tra il battaglio e il punto fer-mo, permettendo alla campana di emettere il tocco. Questa tecnica si usa largamente nelmeri-dione e nelle due isole maggiori, ove le campane diffondono una suoneria veloce e sempre ripetitiva, in alcuni luoghi strutturata a scala ascendente o discendente, in altri alla rinfusa.

Ove le campane sono accordate in scala è possibile attuare il suggestivo “rintocco emiliano”o“alla Reggiana” diffuso appunto soprattutto in Emilia Romagna. E una specie di carillon nato con il nome “martellata da chiesa” nel bolognese-modenese, a s quattro campane; ma oggi è facile vederlo esteso anche a cinque o sei. Dove, ad esempio, i bronzi sono cinque il suonatore, seduto sulla sedia nella cella campanaria, si lega il cordino del Do al piede destro, quello del Re al piede sinistro; quello del Mi viene impugnato con la sinistra, mentre il Fa e il Sol pur avendo un cordino ciascuno vengono comandati dalla mano destra. Se essa ruoterà a sinistra suonerà il Fa, se a destra il Sol. Con il solo movimento di mani e di piedi si vengono a creare armoniose melodie che, accompagnate con i gesti corporali del campanaro, suscitano sempre entusiasmo tra gli spettatori.

Ogni suonatore comunque, ha il suo metodo di suono tramandatogli dai suoi maestri e, specialmente dove ci sono sei campane, vengono impiegati anche i gomiti. Questa tecnica è usata particolarmente per i giorni di festa.